di Marina Mollica
Lutto e incomunicabilità
Regia elegantissima e asciutta (premio a Cannes 2016) quella di Personal Shopper, film dalle atmosfere crepuscolari in cui Maureen, la protagonista, sembra muoversi come un fantasma. Ma il fantasma è lei o Lewis, il fratello gemello che aveva promesso di lasciarle un segno della sua sopravvivenza dopo la morte?
Maureen, pensa di trovare pace solo con una prova concreta. Quasi in un’incapacità di accedere al piano simbolico necessario per elaborare il lutto, vaghiamo con lei nel buio di stanze vuote, che può far pensare alla distruzione dell’apparato psichico di fronte ad angosce intollerabili e per questo non rappresentabili nella mente.
Il regista ci fa toccare con mano lo stato confusionale che subentra quando non si possiede più un “apparato per pensare i pensieri”(Bion, 1962) e dunque non è più possibile distinguere il sonno dalla veglia. Il mondo circostante, dominato dalla proiezione di fantasmi terrificanti, si colora di tinte persecutorie e la comunicazione di pensieri condivisibili diventa impossibile se non attraverso i rapporti fittizi offerti da un computer o un cellulare.
Ma il regista sembra anche ricordarci che il nostro modo di affrontare il mondo esterno dipende da come affrontiamo quello interno (Winnicott, 1950). I fantasmi che vi risiedono devono essere portati alla luce e compresi se vogliamo ritrovare quella linfa vitale in grado di farci andare avanti. Dobbiamo perciò avere il coraggio di confrontarci con esso riappropriandoci delle nostre proiezioni. Solo se digerite (Bion, 1962a) potremo giungere a una ristrutturazione evolutiva della nostra identità.
W.Bion:1962 “Una teoria del pensiero” in Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma, 1970.
W.Bion: 1962a “Apprendere dall’esperienza”, Armando, Roma 1972.
D.W.Winnicott, 1950 “L’aggressività ed il rapporto con lo sviluppo emozionale” in Dalla Pediatria alla Psicoanalisi, 1958, Martinelli, Firenze 1975.